La Bielorussia ha iniziato a studiare le opportunità connesse al mining di criptovalute. E’ stato Viktor Karankevich, capo del dipartimento dell’energia, a dichiarare che il paese non intende restare indietro in un settore che sta diventando sempre più importante a livello globale. Proprio per questo motivo il suo ministero ha iniziato una istruttoria tesa a capire le effettive potenzialità dell’estrazione di Bitcoin e altro denaro virtuale.

La Bielorussia è un Paese già orientato verso l’innovazione finanziaria

L’annuncio relativo al mining di criptovalute non rappresenta certo una sorpresa per chi conosce la situazione della Bielorussia. Paese che già da anni ha mostrato un notevole favore verso l’innovazione finanziaria. Un atteggiamento che ha permesso la formazione di una scena crittografica molto vivace, favorita anche dall’atteggiamento aperto delle autorità governative. Le quali hanno fissato un quadro normativo il quale cerca di lasciare spiragli di libertà alle aziende, cercando al tempo stesso di mantenere un certo controllo sul settore.

Già dal 2017 è in vigore una legge sulle criptovalute

A testimoniare l’atteggiamento del governo bielorusso è del resto una legge approvata nel corso del 2017 e firmata dal presidente Lukashenko. La quale era stata intesa sin da allora come un modo di favorire lo sviluppo dell’economia digitale del Paese. Grazie ad essa sono state legalizzate le attività basate sulle criptovalute come il trading e il mining.
Oltre al governo anche le grandi imprese private hanno mostrato un atteggiamento molto aperto verso l’innovazione finanziaria. A partire dalla più grande banca del Paese, Belarusbank, la quale non ha mai nascosto il suo intento di voler favorire lo scambio di asset digitali all’interno dei confini nazionali.

Sarà necessaria una fase di studio

Per arrivare a consentire il mining di criptovalute su larga scala all’interno della Bielorussia, sarà però necessaria una prima fase di studio. Lo ha spiegato lo stesso Viktor Karankevich, affermando che la Bielorussia è intenzionata a seguire le orme di Paesi come la Cina, la Russia, gli Stati Uniti e il Canada. Intende però farlo in un quadro di assoluta sicurezza, ovvero accertandosi che l’attività tesa all’estrazione delle criptovalute a livello statale non comporti rischi per il sistema energetico e per il settore industriale.
Come è accaduto ad esempio in Iran, ove secondo un recente studio pubblicato da Bloomberg, proprio il mining avrebbe comportato pesanti conseguenze di carattere atmosferico. 

Cosa è accaduto in Iran

Nel paese mediorientale, infatti,  il fabbisogno energetico di Bitcoin e l’estrazione di criptovalute, si sono andate a mixare alla domanda di calore in un inverno eccezionalmente freddo, creando infine una carenza di gas naturale. Per cercare di rimediare ad una situazione critica e soddisfare le esigenze energetiche del Paese, le centrali elettriche hanno dovuto rassegnarsi a bruciare oli combustibili di bassa qualità. Il risultato di questa pessima scelta si è concretizzato sotto forma di spessi strati di smog tossico in molte città. Senza riuscire peraltro ad evitare i blackout conseguenti alla chiusura di alcune centrali elettriche. Un precedente il quale dovrebbe essere attentamente valutato dal governo di Minsk, prima di aprire definitivamente al mining di criptovalute.