Nobuaki Kobayashi, amministratore delegato dell’exchange di criptovalute defunto Mt Gox, ha rivelato che il tribunale distrettuale di Tokyo ha approvato il programma di rimborso da lui proposto. Ove lo facessero, si tratterebbe di un passo decisivo verso la composizione della clamorosa vicenda iniziata nel 2014 con il fallimento di quello che era all’epoca il maggior exchange a livello globale. Con la quale il mondo delle criptovalute sembra destinato a dover fare i conti ancora a lungo.

Mt. Gox: cosa stabilisce il piano di rimborso?

In base al programma predisposto, il trust fallimentare dovrà stabilire quali creditori avranno accesso alla riabilitazione, ottenendo il diritto di votare sul piano di rimborso proposto a partire dal prossimo 24 marzo. Il termine per la votazione è l’8 ottobre, dopodiché i creditori discuteranno il piano di compensazione il 20 dello stesso mese.
Si tratta di un passaggio molto importante, considerato come siano ancora 24mila i creditori di Mt. Gox che attendono giustizia. E, soprattutto, di essere rimborsati dei fondi andati perduti nel corso degli attacchi hacking del 2014 che portarono al fallimento  della piattaforma di scambio. I quali possono far conto sui 630 milioni di dollari e sugli oltre 150mila Bitcoin affidati per la procedura al trust fallimentare.

Una vicenda che continua a far discutere  

La vicenda relativa a Mt. Gox continua a sollevare grandi discussioni a distanza di anni dagli eventi che sconvolsero l’intera comunità crittografica. A rinfocolare le polemiche anche i documenti che partire dal 21 settembre dell’anno passato, sono trapelati nell’ambito dell’indagine promossa dal FinCEN. I quali hanno rilevato il coinvolgimento di società finanziarie tradizionali nell’operazione di pirateria che ha abbattuto l’exchange, tra cui la Mayzus Financial Services.
Mentre il 6 gennaio di quest’anno, la società di monitoraggio crypto Whale Alert ha identificato una transazione verso un cold wallet di Mt. Gox, nel corso della quale sono stati spostati BTC per un valore pari ad oltre 14 milioni di dollari provenienti da un indirizzo Binance.
Inoltre, va ricordato come di Mt. Gox si sia parlato anche in relazione alla causa intentata da Ira Kleiman contro Craig Wright, l’autoproclamato Satoshi Nakamoto. L’uomo d’affari australiano, infatti, nel tentativo di accreditarsi come l’uomo che ha inventato il token, ha presentato una serie di indirizzi BTC al tribunale. Tra i quali, però, ce n’è anche uno collegato all’attacco hacking del 2014.

Il problema dei Bitcoin di Mt. Gox

Va anche sottolineato un altro problema collegato alla procedura fallimentare di Mt. Gox, quello relativo ai 150mila Bitcoin da liquidare. Secondo alcuni osservatori, qualora essi venissero all’improvviso messi sul mercato per finanziare il piano di restituzione, potrebbero comportare un impatto rilevante sulla quotazione dell’icona attribuita a Satoshi Nakamoto, facendone in definitiva crollare il prezzo. Si tratta al momento soltanto di una ipotesi, considerato come il piano delineato da Nobuaki Kobayashi debba ancora essere valutato dai diretti interessati. La quale comunque è già discussa nello spazio crittografico, il quale si ritrova quindi a fare ancora oggi i conti coi cascami di una vicenda il cui clamore sembra destinato a perdurare.