Mentre vanno avanti i test sullo yuan digitale in alcuni grandi centri del Paese, Pechino cerca di rassicurare gli Stati Uniti sulle sue reali intenzioni. Affermando che la sua CBDC (Central Bank Digital Currency) non ha come obiettivo il ridimensionamento del potere imperiale del dollaro. Rassicurazioni le quali, però, non sembrano in grado di attenuare la preoccupazione che inizia a montare dalle parti di Washington.

Le dichiarazioni di Zhu Min

Zhu MinZhu Min è considerato il più noto economista cinese. Attualmente presiede l’Istituto nazionale cinese di ricerca finanziaria presso la Tsinghua University. Mentre nel suo passato vanta incarichi di grande prestigio come quello di vicedirettore generale dell’FMI e vice governatore della Banca popolare cinese. Proprio per questo le dichiarazioni da lui rilasciate nel corso del Virtual World Economic Forum sono destinate ad essere pesate con molta attenzione. In particolare quelle che hanno risposto ad una domanda rivoltagli da Michael Casey, analista di Coindesk, relative ad un piano teso a potenziare al massimo la portata internazionale della criptovaluta statale facendo leva sulla Belt and Road Initiative. Con l’evidente intento di andare ad intaccare la leadership globale del dollaro.
Un piano il quale, secondo Zhu Min, non esiste. Anche perché il concetto di concorrenza valutaria è abbastanza vago, non solo nella teoria economica, ma anche in termini pratici. Resta naturalmente da vedere se le sue parole sono in grado di rassicurare la controparte.

La preoccupazione degli Stati Uniti

Nel corso del mandato presidenziale di Donald Trump, l’evoluzione dello yuan digitale è stata osservata con un certo distacco. Lo stesso ex presidente ha più volte ricordato come il dollaro possa vantare una posizione di forza praticamente inattaccabile a livello planetario.
Parole le quali, però, non hanno fugato i timori di settori sempre più ampi del mondo politico ed economico. E non solo, se si pensa a quanto affermato proprio di recente dalla National Intelligence, la quale non ha avuto eccessive remore ad indicare nella criptovaluta di stato cinese un pericolo reale, in termini non solo valutari, per gli Stati Uniti.

Le previsioni di Goldman Sachs fanno paura

Ad aumentare i timori che iniziano a serpeggiare a Washington, ha peraltro contribuito un recente studio di Goldman Sachs sullo yuan digitale. Nel quale si prevede che la CBDC di Pechino potrebbe essere utilizzata da oltre un miliardo di persone entro la fine del decennio. Un pronostico il quale non sembra assolutamente sovradimensionato, considerato l’interesse già mostrato da altri Paesi, a partire dalla Corea del Sud.
Va peraltro sottolineato come la Cina si stia muovendo con grande dinamismo sullo scacchiere internazionale. Come dimostra la recente firma del RCEP (acronimo di Regional Comprehensive Economic Partnership), un accordo che ha in pratica raggruppato l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e la Nuova Zelanda. Dando vita alla più grande zona mondiale di libero scambio attualmente esistente. Il tutto in un momento in cui gli Stati Uniti sembrano ripiegati su sé stessi nell’attesa di capire come muoversi.